Das Leben ist hart, aber eines der schönsten.
– Luther Matthäus
Si ragionava sul fatto che i polacchi sono timidi mentre i tedeschi sono… distanti.
«Distanti?»
«Uh, forse non proprio distanti… sono inibiti, ecco.
Prendi un bambino tedesco: inciampa, cade e si mette a piangere. I genitori non battono mica ciglio: si fermano, lo guardano inespressivi e gli fanno “beh, e allora?”
Le emozioni di un bambino non hanno la complessità di quelle di un adulto. Possono essere euforici o, appunto, disperati. In quel momento il bambino è travolto dall’emozione che segue il dolore, ma quando cerca conforto trova solo un volto inespressivo: il bimbo cresce inibito, pensa che quella sensazione, la coscienza delle proprie emozioni, sia qualcosa da reprimere.
Adesso, per dire, prendi un bambino italiano. Appena le ginocchia vanno a terra una madre sconvolta che nemmeno la Anna Magnani di Roma città aperta si getta in lacrime sul pargolo, lo strattona implorandolo di dirle che sta bene. “Oh, tesoro della mamma, cosa, ma cosa ti sei fatto?! sanguini? Oh, tesoro della mamma, hai stracciato i pantaloni che ti ho appena comprato, ma io ti straccio la faccia. Che è stato? Ti sei dimenticato come si cammina? Mannaggia a’ miseria!”.
Infine, come se nulla fosse appena accaduto, la mamma ricompone il colletto del figlioletto e gli promette coccole, cioccolata ed un cerotto dell’uomo ragno.»
Noi italiani allora cresciamo schizofrenici. Gesticoliamo, ci alteriamo, siamo passionali, eccitati e disperati. Petrolini, Totò, Benigni e D’Annunzio.
Ci sono un tedesco ed un italiano in un bar, e il tedesco…
niente, il tedesco non dice niente.
Fine della storiella.