Sally Bowles

«Do you mind if I lie down on your sofa, darling?»
«No, of course not.»
Sally pulled off her cap, swung her little velvet shoes up on to the sofa, opened her bag and began powering.  «I’m most terribly tired. I didn’t sleep a wink last night. I’ve got a marvellous new lover.»
I began to put out the tea.  Sally gave me a sidelong glance.
«Do I shock you when I talk like that, Christopher darling?»
«Not in the least.»
«But you don’t like it?»
«It’s no business of mine.» I handed her the tea-glass.
«Oh, for God’s sake,» cried Sally, «don’t start being English!  Of course it’s your business what you think!»
«Well then, if you want to know, it rather bores me.»
This annoyed her even more than I had intended.  Her tone changed: she said coldly: «I thought you’d understand.» She sighed: «But I forgot–you’re a man.»
«I’m sorry, Sally.  I can’t help being a man, of course… But please don’t be angry with me.  I only meant that when you talk like that it’s really just nervousness.  You’re naturally rather shy with strangers, I think: so you’ve got into this trick of trying to bounce them into approving or disapproving of you, violently.  I know, because I try it myself sometimes.  …Only I wish you wouldn’t try it on me, because it just doesn’t work and it only makes me feel embarrassed.  If you go to bed with every single man in Berlin and come and tell me about it each time, you still won’t convince me that you’re La Dame aux Camelias–because, really and truly, you know, you aren’t.»
«No… I suppose I’m not.» Sally’s voice was carefully impersonal. She was beginning to enjoy this conversation. I had succeeded in flattering her in some new way: «Then what am I, exactly, Christopher darling?»

 

– Christopher Isherwood (Goodbye to Berlin – Sally Bowles, 1939)

Univerbazione

L’univerbazione è il processo che nella grafia unisce due parole, in origine separate, in un’unica parola:

pomo d’oro > pomodoro
franco bollo > francobollo

Può comportare il raddoppiamento sintattico della consonante iniziale del secondo elemento:

sopra + tutto > soprattutto

Spesso la grafia separata e quella univerbata convivono nell’uso contemporaneo:

innanzi tutto > innanzitutto

La tendenza è quella a unire le due parole quando il valore dei singoli elementi non è più percepito in maniera netta e distinta:

non ostante (in origine, participio presente di ostare) > nonostante

Ma, non essendoci una regola generale, per ogni dubbio è necessaria la consultazione del vocabolario.

Nel frattempo, in Germania:

PAROLA DEL GIORNO [DE]: Zusammengehörigkeitsgefühl (sentimento di unione, solidarietà)

One must imagine Sisyphus happy

The opposite of depression isn’t happiness, it’s vitality.

Andrew Solomon

When you’re feeling depressed, you might feel like there’s a veil between you and the world, but you might also feel that another veil has been lifted: that veil of foolish happiness that makes anyone else look away from the depressive nature of reality to try to stay “sane”.

What we are expressing is not illness, but insight. It our awareness that causes our concern. What’s really extraordinary is that most of us do know about those big existential questions about life, yet they don’t distract the people around us very much.

In facts, you break out of depression when you choose to ignore the inherent lack of meaning in everything.

Umbanda

Qualche anno fa, quando vivevo in Brasile, fui accompagnato da una amica carioca ad una messa Umbanda che si teneva nella zona nord di Rio de Janeiro.
«quindi cos’è l’Umbanda, mi fai capire?»
«oi ‘Dávigi’!» esclamo la mia amica che non sapeva come spiegarsi, né tantomeno pronunciare il mio nome. «vieni, vem, adesso vedrai!»
L’unica cosa che mi aveva detto era che ei ci andava a farsi predire il futuro.
«e tu ci credi?»
«oh, ma a volte mi hanno parlato anche del mio passato, è tutto vero!»
Entrammo in una specie di prefabbricato con il tetto basso e scosceso e dentro tutto era disposto come in una chiesa: un corridoio centrale, le sedie ben disposte ai lati ed un altare sul fondo. I fedeli tardavano ad arrivare così mi misi a curiosare con discrezione. L’altare era affollato di strani pupazzetti, statuette della Madonna e di Cristo cinte di dubbi ornamenti africani.
La mia amica si accosta a me e finalmente mi spiega un po’ di più.
«Agli schiavi non era permesso praticare la propria religione, così loro hanno interpretato le divinità cristiane secondo le loro»
«Vuoi dire che credono in Cristo?»
«Sì e no.»
«Uh? Sì o no?»
«Oh…» Si guardò lei intorno. «credo che siano arrivati tutti, andiamo a sederci.»
Un signore fece gli onori di casa e fu affiancato da un’altra decina di persone, tutte vestite di bianco e coi piedi scalzi. Un uomo seduto in disparte cominciò a percuotere un tamburo, un altro ad agitare un sonaglio e tutti presero a cantare in coro e a battere le mani. Lentamente il gruppo si distribuì in un cerchio e prese a camminare in circolo. Uno alla volta, disordinatamente, vennero presi da brevi convulsioni. I più si piegarono su loro stessi e fu chiaro che lo spirito
«…l’Orishá »
Si era impossessato del loro corpo.
«Ma dici sul serio?»
«Sul serio!»
Vabbe’, pensai, vediamo come fa a finire questa storia.
Ogni membro del gruppo fu quindi posseduto da uno spirito e prese a camminare in preda al delirio, a chinarsi e parlare a sé stesso, a muovere le sopracciglia come colto di sorpresa e subito dopo a corrugare la fronte, ma senza rabbia. Una bambina si alzò per andare incontro al gruppo, ma uno di loro le si parò davanti. Fu probabilmente il momento più interessante di tutto il teatrino: il ‘medium’ in quel momento era ovviamente posseduto e non poteva semplicemente convincere la bambina a tornare a sedersi. Allora restò lì a fare facce strane alla bambina, sperando, almeno secondo la mia impressione da scettico, che qualcuno finalmente accorresse a riprendersela. La bambina guardava l’uomo con grande curiosità, inclinando la testa di qua e di la come avrebbe fatto un cagnolino. Finalmente una donna si staccò dalla prima fila e trascinò la bambina all’indietro.
«Ah, cavolo…» Sussurrai tra me e me. «Proprio adesso che le cose si stavano per farsi imbarazzanti»
«oi ‘Dávigi’, por favor se comporte, hein!»
«Ma si che mi comporto bene! Che sto facendo?»
Uno dei medium (ormai Orishá) mise un ginocchio a terra, si batté una mano sulla fronte, stese l’altra verso il cielo ed urlò.
«Yooooo!!!»
Lei mi guardò titubante. «Tra poco gli Orixá ci ricevono. Tu mi aspetti qui?»
«Che devi fare?»
«Voglio sapere una cosa.»
La mia amica si alzò e andò a parlare con loro. Fecero così anche altre persone, in ordine, ognuna con il suo Orishá di preferenza.
La mia amica tornò a sedersi in lacrime.
«Ma che è successo?»
«Niente!» Singhiozzò lei. «Oh, niente!»
«Ma che cavolo ti ha detto?! Ma dai, sono tutte cazzate, che davvero credi a questa gente?!»
«È tutto vero! Mi ha detto cose che non sa nessuno!»
«Ok, ok! Oh, cazzo…» E mi alzai. «Ci voglio parlare pure io allora!»
Quelle parole riuscirono a distrarre la mia amica, che smise di singhiozzare e mi fissò con gli occhi lucidi.
«Ti posso lasciare qui un attimo?»
Lei annuì in silenzio, forse più preoccupata della sua reputazione nel gruppo, adesso a rischio per colpa mia, e l’emozione della cosiddetta rivelazione. Mi avvicinai ad una Orishá, una signora di mezza età, bassa, scura e cicciottella.
«Non parlo molto bene, mi dispiace, sono arrivato da poco.»
Ero un po’ arrabbiato con loro per quello che avevano appena fatto e credo che la signora avesse avvertito il mio stato d’animo.
«Oh…» Rispose lei, dubbiosa sul da farsi. «Non c’è probleeeeema»
Lei in teoria era ancora posseduta, quindi stavo parlando ad un antico spirito della terra, comunque sia…
«Mhh, volevo chiedere… sono arrivato da poco in Brasile, non so… forse è il posto per me? Forse dovrei trasferirmi qui qui? Vivere qui per sempre? Oh, Orishá, cosa mi dici, qual è la scelta giusta?»
«Oh, io ti auguro molta fortuna»
Eh?
«Sì, ma ho bisogno di sapere. Oh, Orishá, cosa devo fare?»
La signora appoggiò le mani sulle mie spalle, forse per tenermi alla larga. «Oh, molta fortuna! Ti auguro molta fortuna!»
E mi strinse le spalle come per salutarmi. Tornai a sedermi vicino alla mia amica.
«Mannaggia a te, mannaggia! Non mi dire che credi a questa roba! Voglio sapere che ti ha detto l’Orishá!»
«Oh, no, non posso! È un segreto!»
«Il segreto di tua nonna! Beh, andiamo?»
«È quasi finito…»
Gradualmente gli spiriti lasciarono i corpi dei medium, così come il mio interesse lasciò il mio. La mia amica si congedò dai conoscenti ed uscimmo dal prefabbricato. Camminammo un po’ in direzione della fermata del bus. Per sfogare la frustrazione misi un ginocchio a terra, stesi la mano in aria e gridai.
«Yooooo!!!»
La mia amica divenne tutta rossa.
«não ‘Dávigi’, no! ci possono vedere!!!»
«Che ci vedano pure, questi pagliacci!»

Obesity

What changed between 1970s and today is that we became overly sensitive. We want to ignore facts and logic and replace them with feelings and overly sensitive emotions that trigger us, so that we want to sit and say “I know it is the truth, but don’t tell that to me because I just can’t handle that!”, therefore it doesn’t exist.
It is in this fairy tale realm that if we make believe it is not there then we don’t have to face it. Well, I got news for you: you’ll eventually have to face it. The truth is the truth and your feeling don’t matter.

– John Burk

Zuppetta pugliese

Io nella zuppetta ci metto prima il pane, poi il parmigiano, che s’infila nel pane, la carne a straccetti e infine caciocavallo, mozzarella fresca e appassita. C’è chi la cucina anche durante l’anno, ma io no. Io aspetto. Eh sì, sennò perde tutta la poesia.

– Mamma

[ ]

You believe that reality is something objective, external, existing in its own right. You also believe that the nature of reality is self evident. When you delude yourself into thinking that you see something, you assume that everyone else sees the same thing as you. But I tell you, Winston, that reality is not external.

― O’Brein (Orwell, 1984)