Stamattina mi sono spostato al Funky Flashpacker, l’ennesimo ostello baraonda pieno di pischelli. Noleggio una mountain bike alla reception ed è un affare! La bici costa solo un paio di dollari in più di quella di ieri, ma è nuova di zecca: copertoni immacolati, freni a disco, sospensioni cariche e marce che scattano con un tocco, come rane in uno stagno minato.
Oggi visito Angkor Thom, un complesso dieci volte più esteso di quello di ieri. Supero l’ingresso di Angkor Wat e mi infilo in un sentiero in terra battura avvolto nella vegetazione. Percorlo con questa bicicletta è una figata! Sto cercando di raggiungere Phnom Bakheng. La strada sarebbe un’altra, ma il sentiero pare essere collegato proprio alle spalle… ehhhhh, no.
Una specie di leone indica un percorso inesistente. Mi metto la bici in spalla e mi inerpico fino alla strada in cima bestemmiando e sudando senza ritegno. Il percorso arriva fino ai piedi di un piccolo ponte, segno che ho percorso lo scolo naturale dell’acqua piovana che scende dalla collina.
Mi rimetto in sella ed arrivo al tempio dove vengo accolto* da una guardia sbigottita: se avessi percorso la strada principale mi avrebbero fatto lasciare la bicicletta a valle… oh, ciccio, ma che vuoi?
Il tipo mi lascia perdere. Visito brevemente il sito (in restauro) e scendo lungo un’altro sterrato da paura che zigzaga fino a valle, dove di immette al viale principale. Svolto a sinistra e poco più avanti raggiungo l’ingresso sud del complesso.
Basterebbe questo a svoltare la giornata, ma non è nulla in confronto con quello che trovo poco più di un chilometro più avanti: il tempio di Bayon, la perla mistica di Angkor Thom. Ovunque io volga lo sguardo scopro una quantità di enormi volti scolpiti nella pietra con la loro espressione placida e serena. La pietra è coperta da muschio (o muffa) che confonde le forme e cela i colori originali.
Questo posto è incredibile… ci sono qualcosa come 200 facce, alcune altre più di due metri, poste dappertutto. La struttura in sé è concepita in modo da amplificare la sensazione di essere in un luogo magico. La pianta del sito è regolare, ma i vari livelli si sovrappongono in modo da non permettere di orientarsi con scioltezza. Bisognerebbe visitarlo al mattino presto quando i turisti ancore non affollano ogni angolo della struttura. Ad ogni modo c’è da restare a bocca aperta.
Esco dal tempio e passo lungo una serie di altri siti (come ad esempio la “terrazza degli elefanti”), ma nessuno di questi mi convince a fermarmi per visitarlo. Gran parte dei siti sono un ammasso di pietre che sicuramente avranno una valenza archeologica e bla, ma non riescono ad attirare la mia attenzione… di certo non dopo il tempio di Bayon.
Esco dalla porta Est (Victory gate) e stavolta, invece dei faccioni rabbiosi della porta sud, trovo una serie di statue senza testa che sorreggono un corrimano di pietra. Superato il ponte scopro che il corrimano è un realtà un lunghissimo cobra con un mandala scolpito sul petto e le mani di alcune delle statue che confluiscono alla base del cobra.
Più avanti c’è il tempio di Te Prohm, uno dei più suggestivi di tutto il complesso. Anche questo è un restauro, ma solo un lato è stato completato dando così la possibilità di vedere la mole di lavoro che va nella conservazione dei siti. In una bacheca posta all’ingersso ci sono alcune fotografie che mostrano com’era prima dei lavori di recupero. Bastano quegli scatti a farmi capire quanto il costo del biglietto sia ragionevole in fondo.
La natura s’incastra nel tempio, si contorce, lo divelle, lo annienta. Un albero è cresciuto proprio a ridosso di un cortile interno ed ora s’innalza al di sopra del corridoio lungo il perimetro con le radici che lo avvolgono come tentacoli.
Gli alberi sono il pezzo forte del sito. Ce ne sono di tutti i tipi e forme. Alcuni sono di interesse botanico ed un cartello alla base ne indica la nomenclatura.
Ogni tanto sento il verso di alcuni pappagalli che volteggiano sopra le chiome degli alti alberi. Un suono in particolare si impone su tutti quanti… lo sentii per la prima volta a Cat Ba, in Vietnam. Sembrava il rumore intenso e continuo di una sega circolare e pensai che ci fossero dei lavori in corso da qualche parte che però non riuscivo a vedere. Quel suono in realtà lo fanno i grilli ed è così assurdo (anzi assordante) che l’ho voluto registrare:
È tardissimo. Il parco è già ufficialmente chiuso e i guardiani stanno aspettando che la gente esca dal tempio per spedirla in tuk-tuk a Siem Reap. Io non ho fretta, anzi! Questo è il mio ultimo giorno in Cambogia e anche di viaggio, se escludo il ritorno a Bangkok. Passeggio ancora un po’ tra le rovine ed esco quando il riverbero della luce del giorno trascorso è ormai così debole da non riuscire più a penetrare la vegetazione. Ormai non c’è più nessuno.
Ho con me una di quelle torce da campeggio che si mettono sulla fronte e la uso per illuminare la strada* davanti a me. Non sono ancora pronto per lasciare questo posto e corro verso l’ennesimo tempo, Banteay Kdei. Se vado dritto all’ingresso qualcuno mi rimbalza di sicuro… imbocco il sentiero sterrato che corre lungo il perimetro e trovo un ingresso secondario. Devo ammettere di avere un po’ paura di scontrarmi con qualche branco di scimmie o cose così. Ad ogni modo è notte e sto girando da solo nel tempio in mountain bike :))
Un corso d’acqua mi blocca e purtroppo devo tornare indietro, ma sono soddisfatto. La strada principale è un via vai di turisti che torna in città. Mi aggrappo ad un tuk-tuk e faccio il simpatico con le signore sedute dentro. Ad un certo punto vedo una sterrato illuminato da candele e torce conficcate nella terra. Mollo il tuk-tuk (spezzando il cuore delle signore) e controllo sul cellulare. Google maps dice che lì c’è un tempio (Prasat Kravan). Non mi resta molta energia, ma decido di dare comunque un’occhiata. Qualcuno ha organizzato un evento, forse un matrimonio, non lo so… quello che so è che questo tempio è un pacco e torno sulla strada principale. Provo a riacciuffare il tuk-tuk per farmi trascinare a casa, ma è troppo lontano. Ogni chilometro sembra misurarne dieci. Giro la torcia sulla nuca per farmi vedere dalle macchine che mi sorpassano ed raggiungo l’ostello allo stremo delle forze.
Faccio una doccia ed incontro Isabelle e Jimm [i due ciclisti che ho incontrato per la prima volta a Bai Xep e continuo ad incontrare ad oltranza] e provo a convincerli a mangiare insetti, ma loro fanno gli schizzinosi. Facciamo un giro a Siem Reap insieme e finiamo in un piccolo bar gestito da un fattone vestito come Jack Sparrow. Lui vuole essere chiamato Jack Sparrow e ci tiene a precisare che non è che lui sia strano, è che ha fumato troppa happy plant.
Giochiamo a Jenga e scopriamo che su ogni mattoncino qualcuno ha scritto una penitenza. Ballo con una sconosciuta al tavolo affianco, offro una sigaretta, da bere e torno all’ostello un attimo prima di svenire dalla stanchezza. Rubo un paio di Oreo lasciati impunemente da qualcuno in camerata e mi stendo sul letto. Ripenso alla lunga giornata piena di emozioni e mi addormento, esausto e soddisfatto.
CANZONE DEL GIORNO: Sun is Shining, Bob Marley