Toc toc
Non è nessuno, Davide, continua a dormire.
Toc toc
«Ist die Polizei.»
Ah, cazzo, lo sapevo… Nemmeno cinque minuti prima qualcuno aveva suonato il citofono, poi li avevo sentiti parlare di Wohnung (“appartamento”). «Wohnung questo, Wohnung quello, bla bla bla»
La mia coinquilina col C-PTSD faceva domande su domande e ad ogni risposta dei poliziotti annuiva bassa, insoddisfatta. Lei mi vuole fuori di qui e intendo alla svelta.
Toc toc
«ja?»
Mi tolgo la fascia dagli occhi (la metto sugli occhi per dormire, che qui d’estate fa giorno alle quattro) e due poliziotti con tanto di walkie-talkie, pistole e spray al peperoncino entrano nella mia stanza. Io sono ancora sotto le coperte, li guardo a testa in giù oltre la testata del letto.
«eh, guten tag to you…» Dico io, in onore dell’assurdo.
Mi stropiccio la faccia e continuo in tedescoide. «è la prima volta che vengo svegliato dalla polizia»
«la sua coinquilina ci ha chiamato»
«sì, sì» Mi metto in piedi, sono in mutande. «uh, andiamo in cucina.»
Mi siedo al tavolo, ma ho la bocca impastata e non riesco a parlare. Maledetta vodka, ieri l’ho bevuta in tutte le salse… col mate, con la redbull, e adesso non ho più saliva. Mi alzo di nuovo e mi riempio un bicchiere d’acqua.
«sono uscito ieri sera…» Dico per prendere tempo. «ho fatto un po’ tardi.»
I poliziotti annuiscono.
«ok… uh, allora?»
«sì, la sua coinquilina ci ha chiamato. ha detto che lei è aggressivo»
«aggressivo?»
Aggressivo, penso. No, la mia coinquilina non mi ha mai visto aggressivo: si sarebbe accorta della differenza.
«non l’ho toccata nemmeno con un dito» Rispondo io.
Bevo un altro sorso d’acqua e penso a come spiegargliela nel modo più breve.
«la mia coinquilina ha un disturbo post-traumatico da stress, complesso. da quando vivo qui è andata in clinica due volte. prende psicofarmaci, non lavora da due anni, un mese fa ho bussato in camera sua per chiedere se voleva mangiare insieme e lei era lì che fissava il muro e piangeva.»
I poliziotti ascoltano in silenzio, annuiscono. Le mani si staccano dai fianchi e i due finalmente rilassano le braccia.
«oh, sì, vivo anch’io in un appartamento in condivisione» Dice uno dei due.
Anche l’altro poliziotto interviene. «è così difficile trovare casa a Berlino»
«e io la sto cercando, eh» Continuo a dire io. «ma adesso vivo qui, che faccio? non me ne posso andare in ostello perché la mia coinquilina ha deciso che mi odia»
Uno dei due poliziotti va da lei in camera sua. L’altro resta con me, mi chiede da dove vengo e mi dice lui è della Turchia.
«quando ci chiamano… dobbiamo venire» Dice come per scusarsi. Il collega intanto ritorna in cucina. Due mi salutano e se ne vanno.
Peccato, proprio adesso che stavamo per fare amicizia.
Mi siedo e cerco di capire come siamo arrivati a questo punto. La mia coinquilina è una tipa con ovvi problemi relazionali. Ha quarant’anni e pesa quaranta chili. Il suo migliore amico è il suo gatto che ha chiamato Gatto… sì, Gatto, come se io chiamassi mio figlio Figlio. In realtà “gatto” in tedesco significa anche “sbornia”, il che da al nome una connotazione più intelligente, ma giacché la padrona adesso mi stai irrimediabilmente sulle palle, odio pure il suo gatto Gatto.
Adesso che ci penso è iniziato tutto per colpa sua. Anni fa un ciccio maldestro lo ha calpestato un paio di volte, così adesso Gatto si acquatta ogni volta che incrocia qualcuno, aspetta fino all’ultimo momento e poi corre via a rintanarsi. Se Gatto non avesse bisogno di bere o mangiare starebbe tutto il tempo chiuso in camera con la padrona, con lei che la pompa di zaffate d’erba. Uno studio afferma che gli animali domestici adattano il loro stile di vita con quello dei padroni raggiungendo una sorta di simbiosi. Insomma, la follia del quadrupede è un riflesso di quella del bipede.
Le cose, nonostante tutto, sono andate relativamente bene fino ad un paio di settimane fa, quando una discussione sui piatti sporchi è degenerata inspiegabilmente in teorie gender e discriminazioni razziali.
«i piatti sono sporchi, li laviamo?»
«tu mi attacchi perché sono Curda»
No, brutta stronza, voglio solo che pulisci i piatti.
Una volta che la polizia lascia l’appartamento, vado dalla coinquilina e le dico che dobbiamo parlare. Lei però non vuole parlare, sempre che questo abbia un residuo di senso. Fino a un quarto d’ora fa voleva solo che la polizia mi buttasse fuori a randellate. Alla fine lei esce di casa e così faccio anch’io.
Poco sonno, troppo alcool, troppa agitazione. M’infilo in palestra e in mezz’ora faccio 2 km di corsa, 150 Wall ball e 75 Toes-to-Bar. Allo scadere del tempo mi accascio a terra e disegno il mio profilo col sudore. Sono così cotto che ormai non penso più a nulla.
Esco dalla palestra e prendo uno schwarma in una bettola nei dintorni di Boxhagener platz. L’omino al bancone mi chiede da dove vengo.
«Italien»
«ah, allora parlo l’italiano…» Dice lui. «Io vissuto a Roma, Venedig… oh, Venezia… Paduva»
«ma dai, anch’io vivevo a Roma! che facevi?»
«a Venezia, oh, Ca’ D’oro… restaurante di lusso, eh»
«vabbe’, sì, e a Roma?»
«a Roma… Ali Babà»
«Alì B… quello grande nel piazzale dei bus?»
«sì!»
«ma io ci andavo sempre da Ali Babà!»
Lui ride contento e mi offre un bicchiere di tè nero, con la salvia in infusione.
«Italia, uh… giù» Stende la mano e la fa scivolare nell’aria. «Germania, invece, soldi, soldì, però…» Alza un indice nell’aria, poi prende a contare con le dita «clima, persone, lingua… uhhhh, no bene»
Bevo un altro sorso del suo tè squisito.
«sono d’accordo, amico mio, sono d’accordo.»
CANZONE DEL GIORNO: Toto Cutugno – L’Italiano