Nell’ultima metro di stanotte, tre brasiliani si lamentano di “quegli schifosi italiani di merda”. Lo fanno in portoghese, ma sembra che solo io capisca cosa dicono, gli altri si voltano verso di loro solo perché, da brasiliani, urlano invece di parlare. Qualche fermata più tardi, un gruppo di Hoolingan entra spingendosi a vicenda. Si scambiano cazzotti sulle spalle, sorridendo, e hanno le guance rosse di è marcio di birra. Sono tutti biondi o castani e hanno una pelle che sembra di plastica, come solo gli inglesi possono avere.
Torno a casa (non la mia, ma di Michele), ma invece di andare a dormire, vedo Control. Adesso, alle due e mezza di notte, sono in cucina col laptop acceso e la luce spenta (perché qui con me « cazzo! qui c’è gente che lavora! ») e scrivo a quello a cui ho pensato ore fa, tornando a casa, e poi ancora, mentre rubavo i biscotti al cioccolato di Seb: Ian Curtis, il tizio dei Joy Division, si è ammazzato a 23 anni, impiccandosi con lo stendibiancheria del bagno. Era sposato, aveva un figlio, un’amante e una band che aveva fatto una tournee negli States. E l’epilessia.
A parte l’epilessia (e la storia dello stendibiancheria), Ian era un poeta, aveva una voce profonda e una carriera di successo. Io ho 26 anni e rubo biscotti al cioccolato. Chissà cosa avrebbe fatto Iam Curtis a 26 anni. Probabilmente non sarebbe stato Ian Curtis.