Sophie

Sei mesi passarono così, volenti o nolenti, e poi si presentò un posto vacante nel nostro personale e all’improvviso ci fu bisogno d’una infermiera molto esperta per i massaggi. […] Un gran numero di belle ragazze si presentarono per quel posto, e a noi non restò di conseguenza che l’imbarazzo della scelta tra le tante solide creature d’ogni nazionalità che affluirono a Vigny non appena uscì il nostro annuncio. Alla fine dei conti ci decidemmo per una slovacca di nome Sophie con una carne, una salute divina, che ci parvero, bisogna confessarlo, irresistibili.
Lei conosceva questa Sophie solo poche parole di francese, ma che mi preparavo quanto a me, era davvero il meno che potessi fare, a darle lezioni all’istante. D’altronde al suo fresco contatto mi sentivo rinascere una passione per l’insegnamento. E dire che Baryton aveva fatto di tutto per togliermela. Impenitente! Ma che giovinezza anche! Che vivacità! Che muscolatura! Che scusa! Elastica! Nervosa! Stupefacente al massimo! Non era attenuata questa bellezza da alcuno di quei falsi o veri pudori che tanto imbarazzano le conversazioni troppo occidentali. Per conto mio e per dirla tutta, non finivo d’ammirarla. Di muscolo in muscolo, per gruppi anatomici, procedevo… per versanti muscolari, per regioni… quel vigore determinato ma sciolto al tempo stesso, ripartito in fasci fuggenti e consenzienti al tempo stesso, alla palpazione, non potevo stancarmi d’inseguirlo… sotto la pelle vellutata, tesa, distesa, miracolosa…
L’era di queste gioie viventi, delle grandi innegabili armonie fisiologiche, comparative deve ancora arrivare… Il corpo, divinità manipolata dalle mie mani vergognose…

[…] Facevamo come dei progressi in poesia solo con l’ammirare il suo essere tanto bella e tanto più incosciente di noi. Il ritmo della sua vita scaturiva da altre sorgenti che non le nostre… striscianti per sempre le nostre, invidiose. […] Solo per sorprenderla, per farle perdere un po’ di quella superbia, di quella specie di potere e di prestigio che aveva preso su di me, Sophie, di sminuirla, insomma, d’umanizzarla un po’ alla nostra meschina misura, entravo in camera sua mentre dormiva.
Era allora tutt’altro spettacolo Sophie, familiare stavolta e comunque sorprendente, perfino rassicurante. Senza uniforme, quasi niente coperte, di traverso sul letto, cosce al vento, carni madide e dispiegate, duellava col la stanchezza…
S’accaniva sul sonno Sophie nelle profondità del corpo, ronfava. Era il momento in cui la trovavo alla mia portata. Niente più stregonerie. Niente più scherzi. Solo cose serie. Lei faticava come sul rovescio dell’esistenza, per pomparle altra vita… ingorda com’era in quei momenti, ebbra persino a forza di riprendersela.

[…] La mia amicizia diventava, lo notò con pena, sotto la pressione degli avvenimenti e dell’età, subdolamente erotica. Tradimento. Sophie mi aiutava senza volerlo a tradire in quel momento. Era troppo curiosa per non amare i pericoli Sophie. Un ottimo carattere, con niente di protestante, che non cercava di sminuire in qualcosa le occasioni della vita, che non era diffidente per principio. Proprio il mio genere. Lei andava ancora più in là. Lei capiva la necessità dei cambiamenti nelle distrazioni del sesso. Disposizione avventurorsa, dannatamente rara, bisogna ammettere, tra le donne. Davvero, avevamo scelto bene.

Louis-Ferdinand Céline (viaggio al termine della notte, 1932)

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